Vera E Le Altre

...si erano accomodati seduti sul tappeto davanti al camino, con nessuna luce che non fosse quella riverberata dalla fiamma; si passavano a vicenda un bicchierino di Nocino dal quale, sorseggiandone una stilla ciascuno, se ne scambiavano l'aroma con i baci: era un gioco di cui protraevano la durata cercando di tenersi lontani dall'esito invocato dai loro corpi. Tutto il loro mondo era in quella penombra riquadrata dal calore luminoso delle lingue guizzanti del fuoco; le loro sembianze mutevoli come la danza incessante della luce. Vigo era incantato della fantastica casualità con la quale i particolari del corpo di Vera entravano ed uscivano attraverso gli sprazzi ondeggianti di quella luce imprevedibile. Le chiese di denudarsi e mettersi in piedi, di girare lentamente su se stessa, combinando la sua immagine, rinnovata dalla rotazione, alla fantasia rosseggiante della fiamma. Era una scena si sensualità tizianesca, evocante fondali mitologici...

...La domenica gli si era affacciata all'alba con la irrequietezza indotta dalla vacuità di come trascorrere la giornata...Inconsciamente si era alzato e nel silenzio dell'albore domenicale si era avviato al primo treno per Parma; si sentiva spinto da un inconsapevole, confuso richiamo, giustificato dal rigetto verso una nuova giornata tutta parata di insussistenza esistenziale.

Alle otto di quella domenica d'agosto, si era trovato vomitato dal treno con qualche altro derelitto par suo, in una città deserta per l'ora e per il periodo feriale.

Camminava lentamente verso lo studio di Vera, sognandola come la teneva scolpita nel ricordo, calda e meravigliosa tra le coltri del letto; ne sentiva il profumo misto all'odore della traspirazione notturna e immagina di risalire con i baci dal nido d'amore ai seni scultorei e finalmente alle labbra agognate; aveva una eccitazione incontenibile da spingerlo a svegliarla a quell'ora perché gli si aprisse all'amore con cui desiderava intensamente tornare a possederla in ogni millimetro del corpo.

Aveva proseguito fino alla chiesa della Madonna della Steccata, chissà, forse per dilatare quella attrazione meravigliosa. Il tempio, grandioso e armonico, era quasi deserto, fiabescamente illuminato da una fugace lama di sole, penetrante nei sottarchi di sinistra verso le figure di Mosè e Adamo, affrescate dal Parmigianino. Ne traevano un risalto inconsueto e rapidamente sottratto al godimento della vista, nel cammino del sole. Si era seduto e guardava attonito la maestosità della cupola impreziosita dagli affreschi del XVI secolo, sognando di essere lui stesso un pittore intento a ritrarre sulle pareti di una favolosa dimora, le sembianze magnifiche della sua Vera. Lo spirito orante era inaridito, incapace di esprimere una preghiera di gratitudine e di augurio. Il tocco di una campanella avvertiva dell'inizio della messa; erano le nove e Vigo si genuflesse ed uscì; vi sarebbe tornato con Vera, a quella di mezzogiorno...dopo essersi amati. Ma Vera non rispose al ripetuto richiamo del campanello al portone; non c'era, e questo lo scosse nell'intimo per l'assenza di uno scenario in cui calarne l'immagine... 4